Curiosità sull’utilizzo del luppolo, tra passato, presente e futuro

Pochi sono i prodotti della terra con un utilizzo così limitato come il luppolo: a parte l’uso erboristico ed alcune applicazioni del tutto marginali (come lo shampoo al luppolo… alzi la mano chi lo ha provato!) , il luppolo è impiegato praticamente solo nella fabbricazione della birra. Ma non fu sempre così e dappertutto. Se sembra accertato che il luppolo fu utilizzato almeno sporadicamente dai Celti, come dimostrato anche dai ritrovamenti archeologici risalenti al V° secolo a.C. nella necropoli di Pombia (Novara), è anche certo che molte birre dell’antichità non erano luppolate: sarebbe perciò più corretto chiamarle “vino d’orzo”, come fra i primi ci ha
insegnato Senofonte nel 4° libro dell’Anabasi.

La tomba della necropoli di Pombia contenente residui di birra


Più avanti il luppolo (Humulus lupulus) prevalse, ma solo lentamente e gradualmente, su altri ingredienti aromatizzanti e amaricanti, già allora considerati necessari per coprire lo sgradevole dolciastro delle bevande fermentate di cereali: fra questi probabilmente il più importante fu il mirto di palude (Myrica gale), da solo o come componente principale della miscela erboristica nota come gruyt. Alla definitiva affermazione del luppolo si assistette in Europa Centro-Settentrionale nel corso del basso Medio Evo, ma essa non fu simultanea nei diversi Paesi: in Germania, per esempio, è attestata da un documento dell’anno 859 della nostra era, riguardante il monastero di Weihenstephan, mentre in Inghilterra il suo utilizzo fu a lungo avversato dai più tradizionalisti, affezionati alle ale, birra originariamente non luppolata. Ciò è dimostrato da un detto, di tono piuttosto critico nei confronti del luppolo: Hops, Reformation, bays, and beer, Came into England all in a year (il luppolo, la Riforma, i cavalli bai e la birra arrivarono in Inghilterra nello stesso anno): detto indubbiamente posteriore alla riforma luterana del 1517!
Poi però fu proprio l’Inghilterra a diventare antesignana degli studi scientifici sul luppolo volti a migliorarne le caratteristiche ed a favorire lo sviluppo della sua coltivazione: ciò iniziò nel 1894, nel South Eastern Agricultural College di Wye, grazie all’opera del Prof. E. S. Salmon.


Col contributo di altri Paesi (in particolare, ma non solo, Germania e Stati Uniti) c’è stato negli ultimi decenni un sensazionale aumento del numero di varietà di luppolo sul mercato. Le nuove varietà vengono ottenute per ibridazione tramite incroci, e non con tecniche di modificazione genetica. Le varietà di luppolo da poco più di una dozzina negli anni ’50 sono oggi oltre cento (e non finisce qui!): così da dare la possibilità di creare tipologie di birra sempre nuove, con caratteristiche organolettiche le più sorprendenti, e seguendo “filosofie” diverse: è in particolare sempre accesa la discussione fra i sostenitori delle luppolature “a singola varietà” e quelli
dell’utilizzo di più luppoli, così da fondere in maniera più intrigante i  diversi sentori.


Anche il modo di aggiungere il luppolo e di separarne i residui senza eccessive perdite di mosto è ovviamente continuo oggetto di studi ed esperimenti, soprattutto dopo l’avvento dei pellet e del whirlpool, che hanno dato nuovi impulsi alla tecnologia, modificandola profondamente. Come noto, nel gergo birrario e “gettate” sono le singole aggiunte in caldaia del mosto: pochi ( i meno interessati alla caratterizzazione dell’aroma della birra finita) utilizzano la gettata singola (di solito effettuata dopo una bollitura senza luppolo per almeno una decina di minuti, in modo da lasciare ai tannini dei cereali il compito di precipitare l’eccesso di proteine nel mosto ); ben più numerosi (per fortuna!) sono i fautori delle gettate multiple, con ampia possibilità di scelta del numero e del momento.

Il-luppolo-viene-inserito-nella-caldaia-di-cottura-nella-città-birraria-di-Burton-on-Trent-in-Inghilterra

Sempre più si diffonde inoltre la tecnologia della luppolatura post-cottura, nel whirlpool o come dry hopping (in tedesco hopfenstopfen, in francese houblonnage à froid), in fermentazione o in stagionatura, con effetti aromatici spesso molto attraenti (…ed alle volte eccessivi!). Ma l’inventiva dei birrai più appassionati non conosce limiti: un tipico esempio è il ricupero di tecniche dimenticate, come il first wort hopping, ossia l’aggiunta di un’aliquota del luppolo già durante la filtrazione della miscela, che in Germania era di moda circa un secolo fa: a quei tempi si praticava piazzando un piccolo recipiente con setaccio interno fra tino filtrazione e caldaia bollitura ed all’interno del setaccio si sistemava la prima gettata del luppolo (a quei tempi solo in fiore), per estrarlo meglio, a temperatura di circa 75°C, per tutto il tempo della filtrazione. Il serbatoietto si chiamava Hopfen entlauger (estrattore del luppolo). Una variante era poi quella di
far passare attraverso l’Entlauger solo gli ultimi lavaggi, che essendo più alcalini favorivano l’isomerizzazione delle sostanze amare.

Il dry hopping made in USA alla Stone Brewery


Ma il progresso tecnologico non conosce soste: e lo dimostrano due prodotti ancora poco conosciuti, disponibili solo da poco: gli “Aroma Pellet” della ben nota ditta Steiner ed il “wet hop” di Gottfried Seitz, un mastro birraio e Biersommelier che opera da Dornbirn (Austria). Gli “Aroma Pellet” sono il residuo della produzione dei “pellet 45”, residuo che finora veniva tutto conferito ai mangimifici, essendo apprezzato per il suo elevato contenuto proteico. Ma si è scoperto che è anche ricco di polifenoli, i quali come noto contribuiscono ad elevare la corposità delle birra. Per non sovraccaricare il whirlpool il miglior sistema è di utilizzare gli “Aroma pellet” con le consuete tecniche di luppolatura a freddo. I risultati finora ottenuti (anche da una birreria artigianale italiana) sono molto interessanti.

A Gottfried Seitz va infine il merito di aver brevettato un sistema per conservare intatte le caratteristiche del luppolo senza doverlo essiccare (con cospicua perdita di componenti aromatiche volatili): immediatamente dopo il raccolto le infiorescenze vengono macinate in atmosfera di gas inerte e la polvere imballata in sacchetti di plastica a bassa permeabilità, i quali sono poi sottoposti a pastorizzazione: così si dispone , in qualsiasi momento, di luppolo che ha praticamente le identiche caratteristiche di quello appena raccolto.

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