Una lezione da un negozio di panini a Firenze

Incorniciato fra l’imponente Palazzo Vecchio e la galleria degli Uffizi, nel mezzo del centro storico di Firenze, c’è uno dei più affollati negozi di panini dell’intera Italia, “All’antico Vinaio”. Centinaia di persone stanno in fila nei due mini-locali, pasti uno di fronte all’altro, come parete di un culto che è cresciuto attorno ai famosi panini che sono la vetrina dei migliori salumi e
formaggi d’Italia.
Il che solleva la domanda se mai qualcuno si sia fermato un attimo a pensare da dove vengano queste centinaia (se non migliaia) di libbre di salumi.


La vendita della tradizione è una delle “industrie” più grandi in Italia. Dai formaggi, ai salumi, all’artigianato in cuoio, fino alle pittoresche strade acciottolate. A ragione quindi, c’è un lungo resoconto storico dei prodotti che ora il Paese esporta. Comunque, come per qualsiasi prodotto, la produzione di massa per rifornire il consumo locale e l’export, si basa su metodi industriali. “All’Antico Vinaio” difficilmente è l’unico posto in Italia (e nel mondo) a vendere salumi italiani. Infatti, ora si può trovare questo famoso negozio fiorentino a Milano, New York e Los Angeles, allo stesso modo in cui si trova uno splendente Eataly store in molte città negli Stati Uniti e in Europa, a prova del potere che i termini “tradizione” e “cibo italiano” hanno nello spingere il brand del cibo Made in Italy.


Allora, partiamo dal maiale:
1- da dove vengono tutti questi maiali? Da allevamenti intensivi (nell’articolo originale definiti CAFO, ovvero Concentrated Animal Feeding Operation – N.d.T.). In un recente studio di “the End the Cage Age”, un’iniziativa di cittadini europei, l’Italia si classifica come uno dei Paesi peggiori riguardo il benessere animale, col 76% (ovvero 45.767.880capi) degli animali allevati in gabbie. Nel 2019, visitai un allevamento intensive presso Gavassa, in provincia di Reggio Emilia, per la mia tesi di ricerca. Gli allevamenti intensive sono di vitale importanza per l’annuale produzione degli 8.5 milioni di pezzi di prosciutto di Parma e dei 2,.5 milioni di pezzi di prosciutto di San Daniele, fra gli altri prodotti derivanti dalla coscia suina. L’immagine che avevo in testa dei maiali che corrono nei pascoli erbosi era molto lontana dalla realtà.
La visita della porcilaia mi ricordò di un filmato sugli allevamenti di maiali negli USA. Il fetore di ammoniaca e feci ci accompagnò per le stanze, piene zeppe di maiali di differenti età e stadi di nutrizione. Il proprietario della porcilaia era orgoglioso di essere uno degli allevatori dei maiali per il
prosciutto di Parma: “Noi siamo parte dell’esclusivo gruppo di produttori che alleva maiali in Italia per il Prosciutto DOP”.


2- Che cosa mangiano i maiali? Soia e mais geneticamente modificati, integratori e antibiotici. Quando chiesi al proprietario della porcilaia che cosa mangiavano I suoi animali, lui mi disse: “mangimi”, che significa un mix di cerali e legumi non tracciabili, incluso quelli geneticamente modificati provenienti da area deforestate dell’Amazzonia (deforested lands in South America ), acquistati da grandi industrie. Il poco spazio disponibile e la dieta monotona riducono le difese immunitarie, così quando chiesi circa la somministrazione di antibiotici, la risposta è stata “gli diamo gli antibiotici di cui hanno bisogno”.


3- Dove va a finire tutta la “cacca”? In modo simile a quanto accade negli USA, per esempio, tutte le deiezioni sono raccolte in lagune dei liquami e successivamente spruzzate sui terreni nei dintorni, con fenomeni di dilavamento nelle acque superficiali. Queste acque di rifiuto portano con sé tossine dalla dieta e residui di antibiotici, insieme ad ammoniaca e sono fonte di gas serra, a detrimento dell’ambiente e della salute umana.


4- Cosa possiamo dire sulla produzione dei salumi? Questa è una domanda insidiosa Nonostante ci siano molti piccoli produttori di salumi in Italia, la questione che si pone è da dove viene la carne di maiale che usano. Se essa proviene da uno dei molti allevamenti intensivi italiani, o di un altro Paese europeo, questa carne allora è “contaminata” con OGM, antibiotici e crudeltà nei confronti degli animali.


Imparai ciò durante la visita presso un salumificio di Modena, dove il direttore di produzione puntualizzò il fatto che loro vendono la carne a molti piccoli salumifici e macellerie. A questo punto la carne viene “nobilitata” con parole come “artigianale” o “fatto in casa” e il suo passato viene ignorato e dimenticato.
Se, d’altra parte, i salumi portano nomi come prosciutto di maiale Nero o di cinghiale, o finocchiona di Cinta Senese, allora possiamo dire che gli animali dovrebbero essere state allevate in un sistema differente. Le razze di suini autoctoni italiane difficilmente possono essere allevate in spazi ristretti, quindi essi sono un’opzione – principalmente – per piccoli agricoltori, e il prodotto finale porta il nome della razza suina.
Sfortunatamente, la maggior parte dei maiali allevati in Italia, ed in Europa, sono ibridi di razze straniere come il Large White, il Landrace e il Duroc, e molti di questi diventano salumi IGP e DOP.


Vediamo un’analisi dettagliata del marchio IGP
Il marchio europeo IGP (Indicazione Geografica Protetta) protegge una sola fase della produzione, di norma l’ultima, senza interessarsi dell’origine delle materie prime. Così, per esempio, la Bresaola della Valtellina IGP, un salume bovino prodotto in Valtellina (Lombardia), si basa su carne proveniente principalmente dal Brasile. Ma questo è solo un esempio. Per il prosciutto IGP la maggior parte della carne suina viene da fuori l’Italia, principalmente da Danimarca e Germania, la carne viene iniettata con una salamoia contenente aromi e nitrati, quindi pressata, messa in forma e cotta.
L’Europa è il secondo più grande produttore del mondo di carne di maiale dopo la Cina (ed io rimasi sorpresa quando lo appresi). In una lista di transazioni piuttosto complicata da seguire, l’Italia importa carne di maiale dagli altri Paesi europei e ciò ne fa il più grande importatore d’Europa e il terzo a livello mondiale. L’allevamento dei maiali nella Comunità Europea,
così come la produzione di altre commoditiy come il latte per la caseificazione, è reso possibile grazie all’import di prodotti a base di soia transgenica e di mais da Brasile, Argentina, Paraguay e Stati Uniti. Il che mi porta a chiedermi se, stando così le cose, c’è una reale superiorità dei salumi e dei formaggi europei.
Ma andiamo avanti…


Torniamo al tema dell’impatto ambientale
L’impatto ambientale di questi prodotti attraversa il mondo intero. Un recente studio pubblicato sulla rivista Science, asserisce che ben il 22% della soia e il 60% della carne bovina esportata dal Brasile all’UE è collegata a deforestazione illegale. Nel frattempo i leader dei popoli indigeni dell’America Latina che lottano contro questo sistema continuano a morire a ritmo vertiginoso, mentre cercano di proteggere la loro terra, la loro sovranità alimentare, le loro proprie culture e tradizioni.

Ma l’impatto ambientale si sente anche a casa propria. L’alto Adriatico è diventata una zona morta, la valle del Fiume Po, dove è ubicata la stragrande maggioranza degli allevamenti suini intensivi, è una delle aree più inquinate in Europa e i problemi di salute sono una spina nel fianco per i cittadini europei, le cui vite continuano ad essere insidiate dall’agribusiness.
I piccoli produttori responsabili si trovano a soffrire le conseguenze di questo sistema di produzione industriale del cibo, che si fa vanto delle loro tradizioni ed allo stesso tempo vende a prezzi così bassi da mettere i piccoli produttori fuori dal mercato. Allo stesso tempo le razze autoctone suine
stanno scompartendo: delle oltre 20 razze presenti all’alba del ventesimo secolo, solo 6 ne sono sopravvissute ad oggi.
Mentre guardo la gente ostentare i loro famosi panini attraverso Ponte Vecchio, io penso a tutti questi aspetti e alla lezione che ogni fetta di salume nel panino ha da insegnarmi. La domanda che rimane è la seguente: Ha senso sostenere un sistema che sfrutta e danneggia l’ambiente, per il
gusto di una foto da mettere su Instagram?

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