L’AFFASCINANTE EQUILIBRO DELL’ACIDITÀ VOLATILE

Vino e aceto certamente non vanno d’accordo in quanto il secondo è da sempre considerato, a torto o a ragione, un sottoprodotto del primo. Avremo modo in futuro di sfatare questo ingrato pregiudizio, ma è innegabile che l’acido acetico non sia, nella vulgata comune, considerato un composto che caratterizza il vino di qualità. Come spesso accade la realtà è ben più complessa e l’affascinate ruolo dell’acidità volatile nel vino merita certamente una riscoperta.

Uve Nosiola in appassimento per il Vino Santo Trentino

L’acidità volatile è, lo dice il nome, una componente importante dell’acidità del vino. Si distingue da quella definita “fissa” perché separabile per distillazione in corrente di vapore dal vino. Il componente principale dell’acidità volatile è l’acido acetico che può essere accompagnato, soprattutto nei vini rossi, da componenti minori che creano all’analisi chimica un certo scostamento tra due termini che, solitamente, sono considerati sinonimi nella pratica di cantina.
L’acido acetico è il terzo acido per quantità nel vino, insieme all’acido lattico non è sintetizzato da Vitis vinifera, ma prodotto durante il metabolismo microbico, al pari ad esempio dell’etanolo. Le vie di sintesi dell’acido acetico sono piuttosto complesse, ma in estrema sintesi ascrivibili a due origini. In una vinificazione corretta la maggior parte dell’acido acetico è prodotta dal metabolismo
dei lieviti a partire dagli zuccheri, passando per una molecola fondamentale alla vita cellulare che si chiama piruvato e da qui appunto all’acido acetico. Il medesimo biochimismo è essenziale a produrre altre molecole tra cui i lipidi e composti fondamentali per determinare l’aroma del vino come gli esteri. Un’altra via di accumulo dell’acido acetico, mediata dai lieviti, è l’ossidazione
dell’acetaldeide, un prodotto minore della fermentazione alcolica. La seconda ragione dell’accumulo di acido acetico vede invece coinvolti i batteri lattici, quando paradossalmente i batteri acetici nel vino non sono un grosso problema da gestire. Questo processo si chiama fermentazione eterolattica, dove i batteri lattici possono causare gravi alterazioni producendo eccessive quantità di acido acetico, fino a rendere rapidamente il vino inaccettabile.
Tornando ai lieviti, il quantitativo di acido acetico che questi accumulano nel vino, può variare largamente. Dipende dai caratteri propri di ciascun lievito, specie o ceppo, che si trova nel vino, ma anche la composizione di quest’ultimo (ed in particolare il tenore di zuccheri inizialmente presenti nel mosto), oltre che le scelte dell’enologo, possono incidere fortemente sull’accumulo di acido acetico. La relazione tra acido acetico e zuccheri del mosto è particolarmente significativa.

Più cresce il tenore zuccherino nel mosto, ad esempio passando da uve dedicate a un vino leggero a bassa gradazione, fino ad uve passite per la produzione di vini dolci, più aumenta lo stress osmotico per le cellule di lievito, ovvero il danno causato dall’eccessiva concentrazione di sostanze disciolte nel mosto che tendono ad “asciugare” le cellule, richiamando acqua. Per tentare di
contrastare questo fenomeno il lievito produce glicerolo, una molecola che riduce lo stress osmotico ma, dal medesimo metabolismo, si genera appunto acido acetico. Questa è la ragione per la quale i vini dolci contengono naturalmente livelli di acido acetico (e di glicerolo) molto maggiori rispetto ai vini secchi.

Cantine Florio a Marsala

Nell’enologia moderna l’acido acetico è sinonimo di difetto, contenuto con l’impego di lieviti selezionati e altre pratiche di cantina, fino a valori quasi marginali. Non è sempre stato così. Se ben bilanciato con le altre componenti del vino, l’acido acetico può donare complessità e freschezza al nettare di bacco, soprattutto laddove l’acidità fissa difetti naturalmente per pratiche di cantina o per attitudine del terroir. Se vi capitasse di assaggiare i classici rossi prodotti nel sud della Francia sulle rive del Rodano, Cornas, San Joseph, Hermitage, vi trovereste di fronte a vini sorprendentemente freschi, seppur con valori di acidità modesti. Una parte importante di questa freschezza è data appunto dall’acido acetico, accumulato grazie anche a uno stile di vinificazione, la fermentazione con uve intere, che stimola l’accumulo di questo acido. Altri vini fanno dell’acido acetico un carattere essenziale. Sempre nei territori d’oltralpe vi sono vini in stile ossidativo prodotti sulle rive del Mediterraneo, al confine con la Spagna. Banlyus e Maury sono due piccole
denominazioni dove si producono rossi fortificati, ovvero aggiunti di alcol per bloccare la fermentazione, e successivamente affinati per lungo tempo in botti scolme o addirittura in damigiane esposte al sole. Un affinamento così drastico portai inevitabilmente ad accumulare note ossidative ed acido acetico che, nuovamente, donano una straordinaria complessità alle migliori etichette.

L’invecchiamento ossidativo della Vernaccia di Oristano

In Italia vini in stile ossidativo sono prodotti in Sicilia, come nel caso dei Marsala tradizionali, ed in Sardegna, sulla costa occidentale intorno al paese di Oristano. Tuttavia anche nelle migliori vecchie riserve dei grandi rossi toscani e piemontesi il tenore di acido acetico può rivelarsi insospettabilmente elevato all’analisi, ma assolutamente integrato nel bouquet evolutivo all’assaggio. In Valpolicella nei vini da uve passite come Recioto ed Amarone è stato fatto un
notevole lavoro di ricerca applicata per comprendere quale sia il miglior punto di appassimento delle uve per ottenere nel vino un corretto bilanciamento tra volatile, residuo zuccherino e componente alcolica. Sono state introdotte, ad esempio, colture di lieviti selezionati non appartenenti alla specie S. cerevisiae, ma ad altri generi microbici, più osmotolleranti, dunque in grado di regolare elficamente il contenuto di acido acetico per mantenere un ottimale equilibrio gustativo; lo stesso percorso è stato portato avanti anche su altri vini passiti tradizionali italiani, sia in termini di perfezionamento del processo di appassimento, sia di sperimentazione di nuovi protocolli di vinificazione.

Oggi, in tempi di global warming, con acidità dei mosti e dei vini sempre minori, gli enologi iniziano nuovamente ad interrogarsi sul valore dell’acidità volatile. L’acido acetico è un componente prezioso nell’equilibrio del vino, sospeso tra un rapida caduta nel difetto di vini grossolani e rustici e l’affascinante complessità che può dare al vini ricchi e sinceri.

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