LA BIODINAMICA IN CANTINA, COSA DICE LA SCIENZA?

La Biodinamica spopola sugli scaffali delle enoteche e sui banchi dei winebar, ma è solo una tendenza di successo o una alternativa alla pratica enologica tradizionale? L’agricoltura biodinamica fa parte di un movimento culturale che deve le sue origini a Rudolf Steiner (1861-1925). Il nostro, filosofo attivo in diversi ambiti della vita umana, tenne nel 1924 un corso di agricoltura nella tenuta di Koberwitz, in Polonia, organizzato per iniziativa degli agricoltori che iniziavano ad osservare con apprensione gli effetti negativi del massiccio uso dei concimi di origine chimica, sottoprodotto dell’industria bellica. Da allora, e nonostante la prematura scomparsa di Steiner, il movimento biodinamico si è evoluto e ha codificato in pratiche agricole le iniziali intuizioni del fondatore. Molte delle pratiche suggerite dalla biodinamica, come la consociazione, l’alternanza delle colture, la concimazione organica e il mantenimento della fertilità dei suoli dovrebbero essere alla base di ogni corretta pratica agricola. Altri interventi
sono più controversi perché basati sui “preparati biodinamici”, utilizzati peraltro in dosi omeopatiche.


Se si analizzano studi scientifici rigorosi si possono trarre delle informazioni interessanti. I cicli dei macro/micro nutrienti del suolo risultano più efficienti in biodinamica, rispetto alla classica agricoltura integrata, probabilmente per l’impiego di compost e di concimazioni organiche e per l’assenza di erbicidi e pesticidi. L’impiego di preparati, specialmente del 500 che è basato su letame soggetto ad una maturazione anaerobica, parrebbe avere effetti virtuosi sull’attività biologica del suolo. In colture annuali orticole si è osservata un miglioramento nell’accumulo di polifenoli, correlato con l’applicazione del preparato 501, a base di silicati. Gli studi concordano nell’affermare che la pratica biodinamica determina un minore sviluppo della pianta e una minore produzione rispetto alla viticoltura convenzionale, anche se si osserva un miglioramento della composizione dei grappoli in termini di solidi solubili, polifenoli, acidità totale. Entrando in cantina, la principale differenza tra vini biodinamici e tradizionali parrebbe risiedere nel contenuto di solfiti, più basso. La minor presenza di anidride solforosa, molecola antiossidante, influenza l’affinamento del vino che è più rapido, rispetto ad omologhi ottenuti per via convenzionale mentre il contenuto di molecole bioattive, ad esempio i polifenoli, è fortemente associato alle pratiche enologiche come la macerazione, piuttosto che al metodo biodinamico. Nei vini biodinamici vi è un minor contenuto di inquinanti di natura agraria, come metalli pesanti e residui di fitofarmaci, coerentemente con le pratiche agronomiche adottate.


Le differenze più significative tra la vinificazione convenzionale e biodinamica risiedono tuttavia nelle fermentazioni che inevitabilmente si riverberano sul profilo organolettico dei vini. L’assenza di starter selezionati, ovvero di colture di lieviti e batteri aggiunte ai mosti o ai vini, e il ridotto impiego di anidride solforosa favoriscono la presenza di molte specie microbiche, sia tra i lieviti che tra i batteri. Questa ritrovata biodiversità favorisce una maggiore complessità organolettica e un più favorevole adattamento alle mutevoli caratteristiche di ogni mosto. Tuttavia vi è il rischio della comparsa di specie microbiche alternative, come Brettanomyces bruxellensis o i batteri lattici. È ricorrente osservare nei vini biodinamici una tendenza all’incremento del contenuto dell’acido acetico, molecola che a piccole dosi dona freschezza al vino ma che se eccessiva prevarica i sentori varietali. Vi sono rischi di accumuli di ammine biogene, molecole derivanti da metabolismi indesiderati di batteri lattici. Il problema in effetti è trasversale a tutti i protocolli di vinificazione, ma gli strumenti a disposizione in biodinamica sono certamente minori e dunque l’attenzione e la destrezza del vignaiolo devono essere certamente maggiori.

Per concludere, tre suggerimenti di assaggio per avvicinarsi a questo modo attraverso bottiglie di ottima fattura e aderenza ai territori di origine, volutamente non è indicata l’annata per sfuggire alla logica delle guide e dei punteggi e tornare ad apprezzare il lavoro del vignaiolo, anno dopo anno.

 

 

Foradori, Teroldego IGT Vigneti delle Dolomiti. Archetipo del rosso biodinamico, vista la storia della cantina, e del Teroldego, nobile vitigno Trentino. Vinificazione in grandi vasche di cemento, fermentazioni spontanee, cura di ogni dettaglio per un rosso fragrante e lieve, da osservare nella sua evoluzione in bottiglia e nel bicchiere.

Cortona Syrah, Az. Ag. Stefano Amerighi. Stefano in 15 anni di attività ha ridisegnato il modello della Syrah, non a caso declinata al femminile, in Italia. Selezioni massali, vinificazioni parcellari, lunghi affinamenti per un vino che danza sui cangianti sentori di viola e spezie.

Apollo Trebbiano d’Abruzzo, Az. Ag. Ausonia. La biodinamica in terra d’Abruzzo interpretata da una giovane coppia, sul lavoro e nella vita. In una natura intatta, i nomi si riferiscono alle farfalle che vivono tra le vigne, una vinificazione attenta di un vecchio vigneto ci regala un bianco che sa di campi arati e grano maturo, di gran godimento nel bicchiere.

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