I tè di primavera

di Daniele e Valentina Fajner

Il tè nasce verde e la primavera è la stagione adatta per farne la conoscenza. I tè e la primavera sono spesso associati, in particolare in Cina e in Vietnam dove si festeggia il Qingming (Festa delle Luci) che cade ad inizio Aprile. Questa data, oltre a celebrare la nuova stagione, è un preciso riferimento nel mondo del tè. Le foglie raccolte nel periodo precedente sono classificate Pre-Qingming, titolo onorevole che viene attribuito per garantire l’altissima qualità di questo momento della raccolta.

Crediamo che sia cosa nota che il tè provenga originariamente dalla Cina, sicuramente meno conosciuti sono i sapori, i colori e gli aromi di quelle prime preparazioni. Le fonti storiche fanno risalire l’utilizzo del tè ai primi secoli dell’era cristiana (dinastia Han), mentre dobbiamo attendere fino all’ottavo secolo per avere maggiori informazioni su questa bevanda. In quel periodo l’Associazione dei Produttori di tè  incaricò Lu You, poeta cresciuto in un monastero buddista, di redigere un libro che riassumesse tutti gli aspetti di questa bevanda. Nacque così “Il Canone del Tè” (Cha Jing ), un testo fondamentale, in tre volumi, che descrive accuratamente la pianta del tè, le pratiche agronomiche per coltivarla, le modalità di lavorazione delle foglie e di preparazione dell’infuso. Il sapore di quelle antiche preparazioni e le modalità di consumazione erano molto differenti da quelle attuali: per garantire una maggior conservabilità, le foglie venivano riscaldate, pressate in pani, ed essiccate. Al momento dell’uso si staccava un frammento dal panetto, lo si frantumava in un mortaio e si preparava una specie di zuppa. Si beveva il liquido e si mangiavano le foglie.

Questa modalità di consumo iniziò a cambiare con l’introduzione di nuovo vasellame utilizzato per la preparazione del tè. Nel XV e XVI secolo (dinastia Ming) si diffuse l’utilizzo delle teiere e delle tazze in terracotta e ceramica. Nel frattempo erano migliorate le pratiche di raccolta e di lavorazione delle foglie sfuse, così come le conosciamo oggi. In parallelo al processo produttivo, la bevanda del tè si era modificata profondamente trasformandosi nell’infuso che oggi conosciamo.

È importante ricordare questi passaggi perché i colori ed i sapori del tè, come di ogni preparazione alimentare, sono strettamente legati a tutti i processi e le manipolazioni a cui sono sottoposti.  Quasi sempre è necessario cercare di preservare il prodotto: a questo scopo, la prima lavorazione a cui le foglie del tè sono sottoposte è la “stabilizzazione a caldo”. L’alta temperatura disattiva gli enzimi che sono responsabili dell’imbrunimento delle foglie, conservando maggiormente il colore verde e le corrispondenti note fresche, vegetali.

In Cina esistono centinaia di tipi di tè verdi, che si differenziano per varietà della pianta, regione di produzione, condizioni climatiche, tipo e momento della raccolta, ma soprattutto modalità di lavorazione. Sono infatti i trattamenti che le foglie  di tè subiscono che creano uno specifico profilo gustativo ed aromatico. Queste differenti lavorazioni si evidenziano soprattutto dall’aspetto delle foglie. Possiamo esemplificare meglio citando alcuni tè fra i più conosciuti. Il Longjing viene stabilizzato a caldo schiacciando le foglie nella pentola (Wok), facendole assumere un aspetto piatto, chiamato evocativamente a “lingua di passero”. Tale operazione conferisce note tostate di castagna e dolci di vaniglia.

Il tè verde cinese Longjing

Un altro esempio lo troviamo nel Pi Lo Chun ( o Bi Luo Chun), raro tè originario della zona di Jiangsu, alle pendici dei monti TungTing. Anch’esso utilizza gemme e prime foglie apicali, le più delicate ed aromatiche, e viene stabilizzato a caldo nel Wok. La lavorazione in questo caso è più delicata: le foglie, ammorbidite dal calore, si lasciano arrotolare assumendo una forma spirale. Infatti, il nome cinese Pi Lo Chun significa “Spirale di Giada di Primavera”.  La bevanda è ricca di note fruttate, tradizionalmente attribuite alla vicinanza delle coltivazioni a frutteti (pesche, prugne e albicocche). Sicuramente le foglie di tè sono in grado di assorbire gli aromi che le circondano, tuttavia un’influenza maggiore è data, più probabilmente, dalle trasformazioni che avvengono durate le fasi produttive.  Le manipolazioni alle quali le foglie sono sottoposte danneggiano le membrane cellulari permettendo una parziale circolazione di molte sostanze che favoriscono la formazione di note floreali e fruttate con una diminuzione delle note più “verdi” e fresche.

Il tè verde cinese Pi Lo Chun

È sorprendete come i produttori di tè fossero da tempo in grado di controllare con maestria queste trasformazioni. Solamente in anni recenti si è iniziato a comprendere con maggior precisione come avvengono le reazioni che coinvolgono la clorofilla, i betacaroteni e tante altre sostanze tipiche delle foglie fresche e come si trasformano in nuove sostanze aromatiche.

Uno tra i più noti tè verdi cinesi è il GunPowder, dal gusto deciso e dissetante, usato in Nord Africa per il tè alla menta. Il nome deriva dalle foglie, arrotolate a forma di pallina, che ricordano l’aspetto delle antiche polveri da sparo. Questo è in realtà il nome con cui è stato ribattezzato dagli occidentali, mentre in cinese viene chiamato Zhu Cha, ovvero tè delle perle/perle di tè. Il Chun Mee (Preziose Sopracciglia) deve il suo nome alla forma arcuata delle foglie  e la qualità dell’infusione.

Vorrei concludere questa breve carrellata fra le lavorazioni e le caratteristiche organolettiche dei tè verdi con i tè giapponesi. Sperando che nessun giapponese legga queste righe, mi sbilancerei dicendo che a noi occidentali i vari tipi di tè giapponesi sembrano sempre lo stesso, sopratutto se li paragoniamo al grande ventaglio di aromi e sapori del mondo cinese. Mi riferisco in particolare ai Sencha, Shincha, Gyokuro che possono assumere altre denominazioni a seconda l’intensità della stabilizzazione a vapore (Fukamushi), dell’ombreggiatura (Tencha), ecc.

Il tè verde giapponese Sencha

Ad una prima osservazione i tè mostrano un aspetto simile, che ricorda gli aghi di pino. Il processo produttivo giapponese prevede una prima stabilizzazione a vapore e successivamente una lavorazione che porta le foglie ad assumere questa tipica conformazione. Il colore delle foglie è di un verde deciso, che diviene sempre più vivace e brillante con i tè che subiscono un’ombreggiatura nelle ultime 2-3 settimane prima della raccolta.

Può essere interessante sottolineare che la tecnica della stabilizzazione a vapore era l’antico metodo cinese, che i giapponesi appresero e mantennero inalterata dal XI° e XII secolo. In quel periodo i monaci buddisti importarono dalla Cina l’alfabeto e i semi di tè oltre alle nozioni sulla coltivazione della pianta. I giapponesi hanno mantenuto inalterato il procedimento originale di stabilizzazione, con un affinamento importante, raggiungendo qualità produttive notevoli, ma muovendosi soprattutto all’interno dello stesso canone.  Ne risultano tè ricchi di note vegetali e marine, molto diversi dai confratelli cinesi.

Nei Gyokuro, i tè di grado più elevato, escludendo i  Matcha, (riservati per la cerimonia del tè) possiamo assaporare con maggior facilità le note umami del mondo marino giapponese. A mettere in risalto questo aspetto sono probabilmente la stabilizzazione a vapore e l’ombreggiatura delle foglie che favorisce una maggior produzione di teanina, un amminoacido tipico del tè ,cugino, sia per composizione chimica che per caratteristiche organolettiche  del più conosciuto monosodio glutammato.

Il tè Matcha, usato per la cerimonia del tè

Fra questo ampio ventaglio di tè di alta qualità che ci arrivano con la nuova stagione possiamo sicuramente trovarne alcuni che ci aggradano e che ci possano rinfrancare in questa stagione primaverile, per poi conoscerli meglio ed eventualmente utilizzarli freddi per rinfrescarci nella prossima estate.

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