Il Terroir del cioccolato

Diamo per scontato che il cioccolato possa essere considerato un prodotto gourmet e che il fondente è la sua versione più “pura”, la cui qualità è riconducibile a quella della materia prima impiegata, le fave di cacao (https://www.pensardicibo.it/2021/03/14/cioccolato-raffinato-prodotto-gourmet-o-banale-commodity/)

Chiediamoci ora quali sono i fattori che possono determinare la qualità e le caratteristiche della tavoletta che acquistiamo. Esiste un concetto che li può esprimere meglio di altri?

L’artigianalità, come accade, ad esempio, per la birra? In parte sì, nel senso che il cioccolato di qualità è anche un prodotto artigianale, ovvero “artigianale” è la mentalità e l’approccio di chi lo produce, il quale vuole un prodotto particolare e non standardizzato, possibilmente con uno stile personale.

Ma “artigianale” non è abbastanza: ci sono tanti produttori artigianali (la maggior parte di quelli operanti in Italia) che si cimentano solo con la pasticceria del cioccolato (praline & c.), senza partire dalla materia prima, le fave di cacao, ma utilizzando cioccolato prodotto da altri. Va bene così e non c’è da gridare allo scandalo, l’artigianalità risiede nella creazione della pralina, piuttosto che nel cioccolato impiegato. Per chi fa cioccolato fondente, al contrario, l’artigianalità va intesa come l’intero processo di trasformazione dalle fave di cacao al prodotto finito: ciò in inglese viene definito “bean to bar”, dalla fava alla tavoletta.

Negli Stati Uniti, dove il fenomeno del cioccolato artigianale ha assunto proporzioni notevoli (ben più che nel nostro Paese), sulla scia di quanto è accaduto per la birra artigianale, il primo requisito per poter diventare membro dell’Associazione Craft Chocolate Makers of America è proprio quello di essere un produttore “bean to bar”. Anzi sarebbe più corretto dire “era”, in quanto l’associazione è stata sciolta nel 2017, nonostante la produzione artigianale sia ancora ben viva e vegeta. Il secondo requisito riguardava la “taglia”, ovvero la dimensione della produzione, che doveva rimanere entro certi limiti, per rispettare il concetto di artigianalità. Solo chi lavora piccoli lotti può cercare di adattare i parametri di processo alle caratteristiche peculiari del cacao, cercando di valorizzarle al meglio, diversamente da chi trasforma grandi quantità in modo necessariamente standardizzato. Artigianalità (craftsmanship) e bean to bar insieme possono avvicinarsi a definire quel serve per un prodotto di alto profilo. Si noti che i grandi produttori industriali di cioccolato sono tutti bean to bar, ma la loro mentalità non è certo artigianale.

I soci fondatori della Craft Chocolate Makers of America

Finora abbiamo parlato solo di quello che accade nel laboratorio del chocolate-maker, i cui successi però dipendono dalla qualità della materia prima. Usando un comodo parallelismo con il mondo del vino, dove si dice che “la qualità del vino si fa in vigneto”, possiamo parafrasare in “la qualità del cioccolato si fa in piantagione”, e il grande artigiano è “solo” quello che sa tirare fuori il meglio delle caratteristiche intrinseche delle fave di cacao. Attività che comporta pazienza, sensibilità, passione, notti insonni spese in infinite prove di tostatura e concaggio, dove qualche grado o qualche minuto in più o in meno, possono fare la differenza.

Sfruttando sempre il parallelismo col vino, possiamo prendere a prestito anche il concetto di “terroir”, che a mio avviso è quello che meglio esprime le prerogative della materia prima, ovvero tutto ciò che sta a monte del processo di trasformazione. Con terroir si intende l’interazione, che si verifica in un particolare vigneto, tra il vitigno, suolo e clima: una combinazione specifica di fattori che va a creare un vino unico e non replicabile altrove. E se l’enologo in cantina impiegherà i lieviti naturali per la fermentazione, che hanno un legame strettissimo col il luogo fisico, il terroir si potrà esprimere alla massima potenza, al punto da poter diventare una sorta di genius loci.

Questo concetto è perfettamente replicabile per il cioccolato, sostituendo allo specifico vitigno, la varietà di cacao. Quanto è diverso un vino fatto col Nebbiolo o con la Barbera? Lo stesso vale per un cioccolato prodotto con il Nacional piuttosto che con l’Amelonado (e per saperne di più sulle cultivar del cacao, vi rimandiamo a un prossimo articolo). Le caratteristiche del suolo, del clima e dello specifico  microclima, insieme alla gestione della piantagione, andranno a interagire con la genetica del cacao, per darci un prodotto che ha l’impronta del suo terroir.

Una significativa differenza con il vino, consiste nel fatto che la trasformazione del cacao avviene in due fasi distinte: in prossimità della piantagione, con la fermentazione delle fave di cacao e, spesso a grande distanza, nella “fabbrica del cioccolato”, dove le fave diventano una tavoletta.

La fermentazione delle fave di cacao

La fermentazione della mucillaggine zuccherina che avvolge le fave è uno dei passaggi chiave per definire il gusto finale del prodotto. Si tratta di una fermentazione multipla, dove prima intervengono i lieviti, quindi i batteri lattici e infine, dopo che la massa è stata rivoltata e quindi ossigenata, i batteri acetici. Ciò provoca un indebolimento della struttura delle fave, con conseguente lisciviazione di quelle sostanze che conferiscono amarezza (caffeina e teobromina) ed astringenza (tannini). Inoltre, si formano dei composti che sono i precursori delle molecole aromatiche che si produrranno, successivamente, durante la tostatura. Come per i vini fermentati con lieviti naturali o i formaggi a latte crudo, i microrganismi che fermentano il cacao sono legati al luogo di origine, pertanto rappresentano l’espressione microbiologica del terroir. Solo in tempi molto recenti questa comunità microbica è stata studiata e si è iniziato un lavoro di selezione di starter di fermentazione, o la messa a punto di pratiche atte a favorire specie di microrganismi piuttosto di altri: in generale quindi si può dire che la fermentazione del cacao è ancora spontanea.

(foto cortesia di Manlio Larotonda – Cacao Disidente)

Per il produttore della tavoletta, ovvero il “designer” del cioccolato, è di fondamentale importanza avere voce in capitolo sulla gestione della fermentazione, definendo standard di qualità; ma per far ciò è necessario avere un rapporto diretto col coltivatore, oppure appoggiarsi a chi localmente si occupa di cacao sourcing, offrendo cacao di alta qualità. Ciò non è né facile né scontato, e implica un costo della materia prima nettamente più elevato.

A supporto dell’importanza del terroir nella definizione della qualità e della “personalità” del cacao, andiamo a spulciare alcuni passaggi interessanti, in due recenti pubblicazioni scientifiche dedicate a questo tema.

Darin Sukha e i suoi collaboratori[1] con le loro ricerche hanno dimostrato che “le condizioni ambientali e le pratiche di fermentazione applicate in differenti contesti, così come l’ambiente di crescita della pianta, possono avere un impatto significativo sugli attributi gustativi del cacao, così come lo può avere anche il genotipo del cacao. Lo studio ha fornito prove scientifiche per sostenere l’effetto del terroir sulle caratteristiche del cacao”. Altri autori[2], in sintonia circa l’importanza del terroir, si spingono oltre, affermando che “relativamente alle pratiche post-raccolta, le pubblicazioni dimostrano concordemente che buoni standard di processo rivestono un importanza maggiore rispetto ai fattori varietali. Comunque, perfino per le stesse specie microbiche o entro definite aree di produzione, sono state osservate significative differenze di qualità, il che evidenzia l’importanza sia delle pratiche port-raccolta (fermentazione N.d.R.) che dell’origine geografica”. E ancora: “C’è un consenso diffuso sul fatto che gli aromi e sapori distintivi del cacao (prima della tostatura, concaggio ed altre fasi di processo), hanno origine  innanzitutto dall’interazione tra il genotipo del cacao e la fermentazione”. E infine: “I fattori culturali che influenzano le tecniche di fermentazione, le pratiche agronomiche, le condizioni micro ambientali, così come il genotipo del cacao e la composizione dell’inoculo microbiologico, determinano le complesse dinamiche metaboliche che hanno luogo durante la fermentazione, che alla fine producono profili aromatici e gustativi specifici e differenziati. Inoltre, la diversità di condizioni e fattori culturali influenzanti la fermentazione, hanno dimostrato, una chiara differenziazione a livello di singola azienda agricola”.

Darin A. Sukha, Pathmanathan Umaharan, and David R. Butler. Evidence for applying the concept of “Terroir” in cocoa (Theobroma cacao L.) flavour and quality attributes. 2017 International Symposium on Cocoa Research

Infine ma non per ultima, una domanda: per capire il terroir del cioccolato è sufficiente che una tavoletta sia un single origin? Ovviamente un prodotto che risulti da un blend di cacao provenienti da luoghi differenti, non ha l’ambizione di riflettere le caratteristiche del terroir. Ma anche la locuzione single origin, di per sé, può significare tutto e niente: se in etichetta ritroviamo semplicemente scritto “Ecuador”, tanto per fare un esempio di uno dei Paesi considerati la Mecca del cacao di qualità, avremo solo un’informazione molto vaga. In Ecuador infatti ci sono varietà molto diverse, dal Curaray al Nacional, fino al pessimo ma iper-produttivo CCN-51, e zone dalle caratteristiche completamente differenti, dal versante amazzonico a quello che guarda il Pacifico, da terreni di origine vulcanica ad altri sedimentari. Più ricco di informazione risulta, per esempio, un cioccolato single estate, con le fave che provengono tutte da una stessa coltivazione.

In conclusione, più sono le informazioni di cui disponiamo, dal terroir al tipo di lavorazione adottata, più potremo divertirci a metterle in relazioni col sapore e gli aromi della tavoletta che stiamo assaggiando.


[1] Darin A. Sukha, Pathmanathan Umaharan, and David R. Butler. Evidence for applying the concept of “Terroir” in cocoa (Theobroma cacao L.) flavour and quality attributes. 2017 International Symposium on Cocoa Research (ISCR), Lima, Peru, 13-17 November 2017

[2] Carlos Eduardo Hernandez, Leonardo Granados. Quality differentiation of cocoa beans, implications for geographical indications. Journal of the science of food and agriculture, January 2021.

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